domenica 27 ottobre 2013

Un caleidoscopio di colori


Mirabello Monferrato. Un caleidoscopio di colori! 
La casa, il distacco, il coraggio, la cittadinanza. Una nuova casa.

Un'unica commovente e allegra cerimonia per festeggiare i giovani 11 nuovi cittadini italiani mirabellesi

Sabato 19 ottobre 2013, presso la sala consiliare, sono state conferite le cittadinanze italiane a tutti i figli dei neo cittadini italiani Papa Leye (Senegal), Misba El Alami (Marocco), Saini Jaspal Singh (India).


I nuovi giovanissimi 11 cittadini italiani mirabellesi sono: Arwin Saini, 9 anni; Rajveer Saini, 4 anni; Oualid Misbah, 1 anno; Yassine Misbah, 8 anni; Rehab Misbah; 4 anni; Amsa Leye, 14 anni; Awa Leye, 12 anni; Khary Leye, 10 anni; Mourtada Leye, 8 anni; Dira Leye, 6 anni; Ibrahima Leye, 2 anni.

- Tanti auguri a loro e alle loro famiglie! I bambini erano entusiasti, si è scherzato molto ed è stato bello vedere la commozione negli occhi dei genitori e ragionare con i bambini su come per questo bel giorno dovessero soprattutto ringraziare proprio i genitori, che hanno affrontato distacchi, difficoltà, grandi prove di amore e di coraggio per dare un futuro migliore a tutti loro -

Nel 2013 sono, fino ad ora, sono cinque i nuovi cittadini maggiorenni italiani: Cilenny Pena (Rep. Dominicana), Chanan Singh (India), Papa Leye (Senegal), Misba El Alami (Marocco) e da sabato 5 ottobre, Saini Jaspal Singh (India).

- Un traguardo emozionante. Penso all'ultimo cittadino in ordine cronologico, festeggiato il 5 ottobre, Saini Jaspal Singh. Saini è in Italia dal 1997, si sveglia ogni mattina alle 4, alle 5 inizia a lavorare. Anche il sabato e spesso la Domenica. Anche stamattina, con l'eccezione che ha fatto una pausa tra le 8 e le 9.30 per venire in Comune. Saini lavora in un'azienda agricola, bada a un pò di tutto, e negli anni, ci ha raccontato con tanto orgoglio, è diventato il tuttofare: dagli animali, alle coltivazioni, ai macchinari. Saini è sposato e ha due bambini. Una bella famiglia mirabellese, con il papà, da oggi, nuovo cittadino italiano. Tanti tanti auguri! -

sabato 12 ottobre 2013

Non possono più morire così


Il 3 ottobre, i cittadini di Lampedusa si sono gettati in mare con ogni imbarcazione possibile per cercare di salvare più vite possibili. Ne hanno salvate, molte. Un enorme abbraccio e ringraziamento va a questi cittadini, mai stanchi di solidarietà: una comunità lasciata da sola. Gli stessi cittadini hanno dovuto assistere sulla propria spiaggia la consegna di decine di corpi di donne e bambini ammassati, rimasti intrappolati, perché più deboli. Intrappolati prima in una speranza, poi in una tratta di carne umana, infine in una morte tanto assurda quanto inaccettabile. Questi migranti sono i nuovi schiavi di interessi e business troppo grandi. I cittadini di Lampedusa sono schiavi di un'Europa, di un'Italia che non li supporta. I cittadini di Lampedusa questa sera piangono e urlano per il lutto e per la rabbia. Non serve ora vedere sfilate di alte cariche istituzionali, truppe di associazioni, di volontari. Quello che serve è l'impegno quotidiano, continuo, quasi trasparente, delle istituzioni e di un popolo. Quello che serve è normalità. E' proprio ora di dire basta. Oggi, domani, dopodomani, tra un mese. Ogni giorno, fino a quando i Lampedusiani non saranno più abbandonati, fino a quando i viaggi dei migranti del mare non saranno più una tratta di carne umana. Questi morti sono i nostri morti. Oggi muore un pezzo di ognuno di noi. Giusi Nicolini, cittadini di Lampedusa, migranti, ci uniamo al vostro dolore. Qualcosa potrà davvero cambiare, ma solo se da domani ogni donna e uomo di buona volontà, e soprattutto ogni membro delle istituzioni italiane ed europee, diventino consapevoli e impegnati nella conquista di azioni concrete, strutturali, dalla parte della dignità dell'uomo e della vita affinché non succedano più simili tragedie, affinché sia garantita, la dignità umana.

Per firmare l'appello: http://www.comunivirtuosi.org/territorio/non-possono-pi-morire-cosi

Primi firmatari:

  • Bengasi Battisti, sindaco di Corchiano
  • Livio Martini, vicesindaco di Corchiano
  • Luca Fioretti, sindaco di Monsano
  • Marco Boschini, assessore di Colorno
  • Vincenzo Cenname, sindaco di Camigliano
  • Ezio Orzes, assessore di Ponte nelle Alpi
  • Luca Gioanola, sindaco di Mirabello Monferrato
  • Ivan Stomeo, sindaco di Melpignano
  • Domenico Finiguerra, consigliere comunale di Abbiategrasso e Forum Salviamo il paesaggio
L'ennesima e, disgraziatamente, annunciata tragedia avvenuta al largo delle coste della "piccola grande" isola di Lampedusa, frontiera meridionale dell'Unione europea nel Mar Mediterraneo, che ha visto la morte e la disperazione di uomini, donne e bambini migranti, deve imporre una presa di coscienza da parte di tutti, cittadini, associazioni, enti locali, istituzioni nazionali e comunitarie per attuare finalmente politiche e azioni conseguenti, concrete e immediate.

Non può essere consentito di morire in questo modo, fingendo di non vedere corpi ammassati su barconi né sentire le grida di aiuto e le voci di speranza. Troppi appelli sulle condizioni dei migranti, spesso richiedenti asilo in fuga da guerre e persecuzioni, sono caduti nel vuoto nel corso dei decenni. Come nel vuoto è caduto il grido di dolore e la richiesta di aiuto del sindaco di Lampedusa e Linosa, Giusi Nicolini, che nel mese di novembre dello scorso anno, dopo qualche mese dalla sua elezione, scriveva:

"Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa. Eletta a maggio, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola? Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l'idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l'inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce. Sono indignata dall'assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell'Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull'immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l'unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l'Europa motivo di vergogna e disonore. In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l'unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche. Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all'accoglienza, che dà dignità di esseri umane a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all'Europa intera. Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza".

La mancanza di una seria politica dell'immigrazione basata sull'inclusione, sulla solidarietà e sulla cooperazione internazionale rappresenta un elemento di sicura vulnerabilità e di seria preoccupazione per la tenuta e, soprattutto, per il rafforzamento delle istituzioni democratiche nell'ambito dell'Unione europea, patria dei diritti umani e civili, della libertà e della giustizia, della pace e dell'accoglienza.

Nonostante la lucida analisi del Commissario europeo per gli Affari interni, Cecilia Malmström, secondo la quale "L'Ue e i suoi Stati membri possono svolgere un ruolo cruciale per stimolare una maggiore cooperazione internazionale in materia di migrazione e sviluppo. L'Ue può offrire e condividere la propria esperienza riguardo alle principali questioni di interesse per la comunità mondiale: promuovere la tutela dei diritti umani di tutti i migranti, fornire assistenza nelle situazioni che ne mettono a rischio la vita e portare avanti la mobilità del lavoro a livello regionale e internazionale", il silenzio delle istituzioni e dei governi centrali europei a proposito di uomini, donne e bambini migranti che ogni giorno muoiono in mare, nel nostro Mediterraneo, è, purtroppo, assordante.

Tuttavia non esiste solo il silenzio delle istituzioni. Dinanzi a simili tragedie, anche provare e mostrare indignazione e rabbia risulta inutile. In tutto questo mondo di speranze negate, di sogni infranti, di ipocrisie, di nuovi reati di clandestinità, di politiche centrali caratterizzate sovente dalla paura nei confronti dell'altro da noi, le comunità locali possono fare molto in tema di migrazione e sensibilizzazione. Come? Portando avanti progetti e iniziative in collaborazione con scuole, associazioni e portatori d'interesse collettivo nell'ambito di una concreta integrazione culturale e diffondendo nuovi stili di vita e modelli sociali fondati sull’economia del dono, sulla condivisione e sulla partecipazione diretta dei cittadini. Che, con le istituzioni, centrali e di prossimità, devono farsi carico con grande senso di responsabilità di questa tragedia, poiché nessuno si salva da solo.

Lanciamo, pertanto, un appello a tutte le istituzioni, in particolare all'Unione europea, affinché rendano attuative politiche inclusive e rispettose dei diritti umani e civili e soprattutto intervengano con coraggio e decisione per non consentire più simili tragedie, nel rispetto della dignità umana. Ai Comuni e ai portatori d'interesse collettivo rivolgiamo l'invito a sostenere l'appello "Non possono più morire così".